michelangelo penso/grande batterio quasi mostro
michelangelo penso, grande batterio quasi mostro, gomma antiolio, alluminio, acciaio, 12.5×3.5×4 mt, 2011, courtesy galerie alberta pane, parigi
dal testo di pierluigi basso fossali apparso su semioticaviva:
[...] Lo sguardo letteralmente buca un corpo sacrificale, una carcassa appesa e non identificata (??? di
Michelangelo Penso), sfiorando con ciò il minimo della dignità attribuibile all’identità altrui. Di questo corpo
appeso al soffitto si intuiscono gli arti e la natura animale: perversa macelleria dove la carne è
inconsumabile. I vuoti di presenza sono circoscritti da strumenti di coercizione, carcerazioni e
irreggimentazioni della volontà del corpo: sorta di selle, redini, imbracature dove alluminio e acciaio
sostituiscono il cuoio.
Appeso per aria, rovesciato, questo corpo soggiogato ma rifugiato nell’invisibile, lascia il protagonismo ad un
armamentario per cavalcare l’assente. La pretesa del dispositivo di coercizione è tale da risuonare
antifrasticamente nell’immaginazione dello spettatore che si sente disarcionata. Questi, infatti, continua a
bucare la figura, percepisce violenza, ma vorrebbe ridurre lo spettro del dolore alla pura concrezione locale
di un balletto plastico dentro un teatro di forme astratte. Il massimo del sacrificio della figura è infatti
aspergerla in singoli formanti privi di una totalità organica che li reclama. Purificando apparentemente la
visione, lo sguardo estetizzante rischia di esacerbare la violenza, l’umiliazione della figura che continua a
intravedersi, malgrado si possano cambiare, una, mille prospettive. [...]
l’opera era inserita nella mostra contractions, a cura di daniele capra, sass muss, edificio schiara, 17 settembre – 16 ottobre 2011