DC || 26 dicembre 2011


kinkade extreme – not a peaceful nature


con questo giuoco intendiamo dire che:

dato che il tendere (infinito) della volontà non è in alcun modo soddisfacibile, essendo ogni evento troppo esiguo per racchiuderla, ogni evento essendo fenomeno, ed ecco infatti che ogni raggiungimento ogni aspirazione ogni CIMA svaniscono solo un attimo dopo la loro presunta conquista, e come non c’è alcun motivo, NON C’E’ ALCUN INIZIO, alla volontà (infatti schopenhauer non ha saputo concepire alcun big-bang), volontà che, come, pur senza desiderarlo, sa bene ogni osservatore lucido e sano di mente, porta inevitabilmente alla GUERRA (saper che c’è, che è inevitabile, non significa anelarvi), allo stesso modo non c’è dunque ALCUNA FINE, alcuna realizzazione finale; e quindi, eccoci qui a dire (per un attimo: se siamo in un multiverso, c’è spazio anche per le prospettive parallele o divergenti) che lungo il percorso ci si illude di stare andando da qualche parte, e, quindi, anche NEL PROCESSO, che pur sembrava superiore, come concetto, più evoluto, rispetto a quello meccanicamente teleologico di fine e META, anche lì non si è liberi, ma PRIGIONIERI (quindi l’alpinista non ha scampo, e il suo tendere è patetico anche durante lo sforzo in parete, dove sperava di potersi riparare dalla volgarità di un finalismo eiaculatorio, è patetico anche lì, e non solo in vetta); ecco dunque il significato di questa sconcia casetta di tronchi, del trash iperboreo quasilisergico di kindake; se guardi l’azione, ed il valore dell’azione, attraverso il filtro di schopenhauer, questo è quel che ne esce; a quel punto, tanto vale prender l’immagine più retorica e fasulla che c’è (la farsa pacificazione ambientale di kinkade, ad esempio, con la sua natura mal ritratta, paradossalmente idilliaca, falsa e consolatoria), e dire, a quel punto, MEGLIO LA CASA DEL PROCESSO; meglio la statica del movimento (che è apparente); e così, per un minuto, abbiamo ribaltato tutto, e levato il senso del fare; solo per non sembrare ingenui, per dire che le nostre tendenze (non credenze) non sono coatte; che si generano attraverso una LOTTA; che siamo consapevoli del gioco, e degli hobby-horses; che, muovere, di per sè, è futile (ecco il senso del nihil privativum, se-è-vigile); che per fare della volontà qualcosa di diverso da un baluardo del fenomeno, dal divenire, dalle (proprie) risibili oggettivazioni, bisogna prima chiudersi ermeticamente, fuori dal moto automatico, e rifiutare, ed armarsi, e aspettare (stemperare la biologia); e solo dopo, uscire allo scoperto, a combattere nel sole, scalzi, con un elmo di scienza e una lama ghignante; insomma, una volta superato il conflitto acromiale, e diradate le benefiche nebbie metilmorfiniche, torneremo a scalare, ecco; e non lo faremo pacificamente.