fabrizio prevedello/longarone quarto innesto in cava
Fabrizio Prevedello
Longarone, 4° innesto in cava, video 3′ 46”, 2011, courtesy Cardelli e Fontana artecontemporanea
Attraverso una serie di innesti, il cui numero potrebbe tendere all’infinito, Fabrizio Prevedello ha sperimentato una fusione geneticamente impossibile in natura: l’inserimento di un marmo “straniero” sul taglio di una cava di marmo autoctono. Con questa operazione (che prevede un percorso simile all’Azimut) deposita un oggetto estraneo in un luogo nuovo, modificando per sempre un ambiente abituato a creare se stesso attraverso la naturale decantazione mineraria e geologica. Un atto d’amore immenso nei confronti di questa pietra rara e pregiata, che affonda le sue radici nella storia esperienziale dell’artista che, da diverso tempo, si trova a maneggiare il marmo conoscendone profondamente durezza, lavorabilità, difetti. L’idea di poter far conoscere e poi accoppiare materiali dalla storia geologica distante, creando così incroci piacevolmente meticci, ritorna in declinazioni differenti in tutta la poetica artistica di Prevedello. Equilibri fragili e ménage improbabili possono provocare deliziosi contrasti e tattili e visivi. La sonorità squillante del vetro con la pastosità odorosa della grafite. La rigorosa ardesia accostata all’opaca morbidezza del gesso. La vivacità screziata del legno fusa assieme all’umida cremosità dello stucco. Contrasti non solo piacevoli, ma anche densi di una completezza concettuale che tenta di ammansire le incompatibilità e le lontananze metaforiche di pensieri e stili di vita, (come anche) nonché di occuparsi degli altri avvolgendoli con un senso di primordiale protezione. Come in Novembre nuovo o in Fa un po’ freddo ma non preoccuparti, in cui i materiali si assemblano in piccole architetture di salvataggio, ricreando un’accoglienza che sa di rifugio domestico, di focolare. Il tentativo è quello di creare un oggetto assolutamente nuovo ma al contempo heimlich, quindi intimo, familiare e velatamente inquietante. Inspiegabilmente alcune sculture di Prevedello non paiono esser state toccate da mano umana, hanno un retrogusto mistico e alieno, sono chiuse in se stesse, come nel lavoro I petali salgono (arni) in cui una piramide filosofale emerge da un mare di grigiore marmoreo. Come se un’interiorità, troppo delicata per essere esposta, dovesse essere corazzata per poter sopravvivere, scegliendo arbitrariamente una non-esistenza (nella concezione pragmatica ciò che non conosciamo, ovvero non siamo in grado di percepire con i sensi, non esiste, ovvero non è esperibile). Nel momento in cui fosse portata alla luce, immancabilmente perirebbe.
(alice ginaldi)
l’opera era inserita nella mostra azimut, a cura di alice ginaldi, sass muss, padiglione pavone, 17 settembre-16 ottobre 2011
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