dc/next
Dolomiti Contemporanee nato a luglio 2011;
da allora, il progetto non si è fermato;
molte cose, nei primi 12 mesi;
molti nuovi rapporti sono nati, collaborazioni avviate;
ora questa è la seconda estate;
abbiamo attrezzato i nuovi spazi;
gli spazi in cui ora si svolge DC NEXT;
niente più Sass Muss, lì abbiamo fatto quel che andava fatto, lanciato il progetto;
poi ci siamo messi su spazi nuovi, o meglio spazi vecchi da far nuovi; spazi morti, da far vivi
siti stimolatori, per la collocazione, per i rapporti esterni (rapporto con ambiente e territorio e persone e cose) e interni (rapporti spaziali, superfici e volumi e angoli e piani inclinati);
siti immobili, dei quali non si vuole accettare l’immobilità, che hanno un potenziale esplosivo, inesploso;
una specie di smangiatore delle piaghe d’inerzia e dell’afasia contemporanea e alla carenza di moti e attitudini alla caccia, all’esplorazione, alla tracciatura, al dislivello;
i nuovi siti più d’uno
il BLOCCO di Taibon, per primo (Taibon Agordino, Belluno);
una fabbrica di 3.000 metri quadri, mica in una periferia urbana, ma piantata in mezzo alle crode, che la sovrastano, intrudono, penetrano da tetto e shed, con l’acqua, e le efflorescenze, chi le respinge, le prendiamo
fabbrica chiusa da due lustri, ora riaperta, animata da una seconda colonia febbrile;
non si tratta di alieni, come quelli che popolano la nuova amena campagna di comunicazione, là sono confinati i fake, questa realtà cerca invece il contatto, con il territorio, gli abitanti (mezzecalze escluse), i luoghi e le genti;
si parte dalla Residenza, per le esplorazioni in ambiente, si va, si registra, si torna, si da forma alle idee, si trasmette un impulso, dal BLOCCO;
il BLOCCO è un dispositivo trasmittente, sempre acceso, per tre mesi, aperto a tutti, una frequenza sperimentale;
i pionieri in residenza sono stati, tiziano, nicola, dacia, paolo, andrea, christian; poi altri trenta
andremo avanti fino al 21 ottobre, con le esposizioni, i curatori indipendenti, gli artisti, le personali delle gallerie private, gli incontri e i dibattiti, sull’arte, sulla montagna, sull’alpinismo, e su temi d’azione, contro la pianura mentale, il polesine psichico, il piattume del pregiudizio monotono (quel blocco, minuscolo, è uno stallo);
quindi gli altri spazi dell’estate e del primo autunno; a Cortina d’Ampezzo, il Museo delle Regole (Museo Etnografico), dove lo sguardo contemporaneo si mescola e concentra, e gli utensili propri della cultura del lavoro agricolo hanno offerto lo spunto a cinque giovani artisti per rideclinare forme e funzioni, agganciando quel che c’era a quel che c’è, che si vuole che ci sia;
il Castello di Andraz, formidabile archeologia dal cielo areonautico, gran masso erratico anticamente trasformato in baluardo, il trovanteedificato, la croda abitata, ora una sezione cava tra le cime, niente più solai e somassa, invasa di luce da sopra, tetto di ferro e cristallo: e dentro qualcosa; che dialoga intrude, appena potremo, ma ci siamo già, ci siamo;
e poi, al 15 settembre, l’apertura di un altro spazio che torna, spazio-memoria monumentale che si proietta al futuro, come tutti gli spazi che vogliono essere usati, laddove si intenda usarli, si creda nel loro uso, invece che nel feretro, che ammazza i vivi più dei morti;
Il Nuovo Spazio di Casso è un luogo carico, sovraccarico, gravido, immobile, silenzioso, potente, formidabile, impressionante;
uno spazio chiuso dal ’63, quando l’onda di risalita della frana del Monte Toc che fece il disastro, danneggiò quel corpo, l’allora scuola elementare;
a Casso nel ’63 abitavano cinquecento persone, oggi sono 27;
l’ex scuola, restaurata, è un corpo nuovo, che fronteggia il segno della gigantesca frana, traccia onnivora; si proietta, attraverso un ponte sospeso, verso la diga, e verso quella ferita del Toc, un taglio netto, la traccia dei 260 milioni di metri cubi di terra a roccia venuti giù;
questo spazio è nuovo, ora, nella forma, e nella possibilità d’essere qualcosa di diverso da un puro (muto, ennesimo) monumento alla tragedia; quest’area è stata troppo, troppo a lungo, prigioniera di un’aura di morte; questo luogo può essere, deve essere, mosso, sbloccato, aperto, riacceso; va messo in rotazione, in torsione (un punto di rottura, appunto); ecco qui la forza, e la responsabilità, di ciò che è contemporaneo, la responsabilità della cultura a non essere cenotafio, a proporre opzioni vitali, a riaprire ciò che è chiuso, per primo lo sguardo; dopo quasi 50 anni quindi, questo spazio è riaperto, con i progetti, le intelligenze, le idee, la riflessione, la sensibilità, tutto ciò che può l’arte, che è progetto poetico agguerrito e struttura critica/lisergica proiettata e antagonista d’inerzie retoriche; altro cantiere artistico e culturale straordinario, Casso, in un luogo speciale e difficile, dove lavorare, con forza, ad s/cassinare, perché l’azione che può l’uomo con la cultura, è semplicemente la vita, che scava e attraversa, levando il primato alla morte (stasi), dall’interno, svuotandola del vuoto;
e in questo si somigliano, gli spazi di Sass Muss, di Taibon, di Casso, pur diverso ognuno, si somigliano rispetto ad un generale tema di rifiuto dell’inerzia, della fine, della staticità, dell’incapacità a reagire, della rinuncia, della carenza d’immaginazione, dell’incapacità di rinnovare, di andare in alto
ecco perchè ci si va
ecco perchè li si apre
ecco perchè l’anno prossimo apriremo una stazione a 3.000 metri; senza riserve d’ossigeno
Video – linea 2012
dc/next – location e spazi