14 novembre, vas: l’arte e la guerra – le foto

Sabato 14 novembre, Dolomiti Contemporanee ha prodotto un altro movimento nell’ex Cartiera di Vas, uno dei grandi complessi sottoutilizzati di cui ci si vuole occupare, perché valgono.
Si è svolta così l’ultima (per ora) visita guidata a Paper weight, il cantiere di residenza che lo scorso settembre ha di fatto aperto il Lab DC a Vas.
E poi, nel pomeriggio, sono stati presentati tre lavori incentrati sul tema della guerra: un gruppo scultoreo installato di Giacomo Roccon (Now), un’opera incisa di Giuseppe Vigolo (Navy Seal), e una scultura lignea di Fabiano De Martin Topranin (A little song), quest’ultima acquisita in permanenza dal Comune di Quero Vas.
Sin dal mattino, le opere sono state collocate nelle gallerie del vento della Cartiera, sotto a queste volte grandi di cemento, attraversate dalle correnti impetuose dell’aria (mentre ieri tacevan le acque, che torneranno).
I grandi spazi vuoti si sono riempiti, di immagini, di senso.

L’Arte e la Guerra.
Poi ancora, dopo il crepuscolo, un rumore forte d’elicotteri da guerra, e d’aerei, ha fatto tremar timpani e muri: la scena di Dark shades ha rischiarato la Cartiera annottata, ancora mostrandone il potenziale, e ancora dichiarando che l’arte sa, può, deve, dire qualcosa, e di certo lo può, lo deve e lo sa anche a proposito della guerra, ed anche in questi giorni difficili, in cui le persone vengono assassinate, le portaerei nucleari salpano, l’uomo uccide, e si prepara ad uccidere ancor più.
L’uomo, questa creatura che anima, e infesta, il pianeta Terra.
L’uomo che, tra le creature conosciute, sa fare le cose più straordinarie, e le più terribili.
L’uomo, che fa gli altri uomini, e fa Dio (o crede di farlo); che uccide l’uomo, ed uccide sè stesso.
L’uomo, che nutre e cresce e slancia lo Spirito per gli Spazi, con le creazioni dell’ingegno, con i tormenti e le spinte dell’Anima, con i frutti dell’intelligenza e della sensibilità e dell’attenzione e dell’impegno e della cura e dell’urgenza: e questo è l’artista, innanzitutto, colui che cerca ed esprime.
Perché ciò che l’uomo, dal principio, ha saputo dare al proprio Mondo, così realizzandolo, altro non è che la Cultura della Civiltà (la Cultura è la Civiltà), ed essa Civiltà, se vogliamo usare una parola in modo aperto e inclusivo, altro non è che la Letteratura, intendendo con questo termine la capacità -più ancora che la volontà- la capacità libera e responsabile di cercare, esplorare, sviluppare, indagare, il senso delle cose, di irrobustirlo, discuterlo, carezzarlo, deformarlo (va deformato).
La Letteratura, in quest’accezione nostra estensiva, è la Qualità dell’Amore che Costruisce, anche quando distrugge (distrugge la banalità, la sua distruzione è un’igiene).
Letteratura è ogni azione creativa, e nuova, che l’uomo sappia immaginare ed intentare, e ciò è vero sempre e solo se la ricerca viene condotta con la massima determinazione, sulla massima qualità: in quei momenti, la Civiltà si erge, e l’uomo sta arrampicando.
E poi, dicevamo, quest’uomo, alle volte santo, genio, creatore, veggente, sa fare dell’altro: sa infliggere la sofferenza, portare l’odio e la morte.
L’uomo, che non sa morire, sa tormentare, e sa uccidere (l’uomo fa ciò che non comprende).
E in questi giorni, lo vediamo appunto far questo, dappertutto, e sempre più vicino a noi, e dentro alle nostre culle, della Civiltà (anche se per alcune testevuote l’Occidente non sarebbe semplicemente al Tramonto, ed addirittura non avrebbe esso Occidente prodotto altro che la distanza dall’Altro: vadano a scuola, codeste lingue senzatesta).
E sentiamo ora tutto un insopportabile indecente concionamento di persone, di politici (parola grossa questa, spesso spesa impropriamente su persone piccole, soprattutto nell’italietta ridicola dei giorni nostri, che la propria Civiltà pare aver dimenticato per intero), queste soubrettes, a dire idiozie, da destra e da sinistra, su quel che bisogna fare, sulle colpe pregresse o sulla necessità della bomba, su Satana l’America o su Satana l’Islam: insomma, parlan gli imbecilli, molto spesso, e questo non è grave come la guerra, ma è comunque uno scempio sullo scempio. E Terzani contro la Fallaci.  E chi odia e chi ama odiare. E chi non osa reagire, e contempla il coltello alla gola, rifugiandosi nelle analisi, mentre non c’è più il tempo. E l’uomo che si fa ometto, perché non sa reagire, nella testa, nei fatti, e viene sopraffatto.
E allora, dicevamo ieri, presentando L’arte sulla Guerra, a Vas: potranno mai terroristi assassini ammazzare la Civiltà? Non scherziamo: questi poveretti sanguinari non possono nulla, IN REALTA’ (questo loro ignobile abominio non è la realtà, è, a monte di ogni ragionamento politico, l’inaccettabile negazione dell’essere e della vita). Il sangue che si versa oggi è tanto e prezioso, tutti noi siamo feriti e furenti, ma nessun disperato assassino potrà spegnere e negare l’Uomo e la Civiltà, che si manifestano nelle Letterature (presenza, pensiero, attenzione, azione, qualità).
E qui d’altro canto nessuno è ingenuo, e non stiamo dicendo che Dante e Joyce, levandosi dalla tombe, potran sconfiggere l’Isis, coi coltelli. E diciamo però che Joyce e Beckett son l’Uomo e l’Essere, mentre l’Isis è l’abiezione ed il nulla, che provano a rifulgere, delle proprie cupe fiamme spente.
Il terrorista non è un guerriero: è un vigliacco, e noi non lo accettiamo, e nessuna può dirci che gli errori e le colpe e le seti dei poteri debbano giustificare l’abiezione nell’uomo: essa non va accettata mai, punto e basta (e non c’è il tempo più per la psicoterapia dell’assassino).
Il guerriero, invece, è l’artista. Che prova a non perdersi, pensa ed agisce con forza, crede nell’impegno, e, impugnando le proprie ansie, come i dubbi e le gioie, cerca una verità, ed in ciò ama, ed edifica, con le parole ardenti, le Letterature universali.
L’artista fa sempre la guerra: alla stupidità, alla banalità (anche a quella del male: o a quella no?), alle chiusure, alle ottusità, quotidiane o straordinarie.
E noi pure, facciamo ogni giorno la guerra: ancora, la guerra alle stupidità, alle inerzie, alle parole e agli Spazi deboli e morti, all’uomo stesso, quando egli che non sa essere essenziale, in ciò rinunciando a se stesso, e cercar se stesso.
E’ per questo motivo che Dolomiti Contemporanee riapre le fabbriche o i grandi siti inerti e dati per morti. Per dichiarare che la vita è sempre possibile, e che però essa non corrisponde ad una fisiologia automatica: è necessario perseguirla, inseguirla, dichiararla, ripristinarla, farla.
Ecco perché, da tre anni, lavoriamo nell’area del Vajont, nel Nuovo Spazio di Casso, che è un dispositivo di emanazione dei Paesaggi vivi dell’Uomo, che si rifiuta di intendere le logiche della tragedia, della chiusura, della tumulazione del senso, del lutto, e riapre sempre e continuamente la scena: pensando, credendo. Dicendo, ed agendo.

Se gli dei alle volte (periodicamente) sono morti (o evasi, o fan dei test, o siamo orbi), l’uomo invece è vivo, che lo voglia (che lo sappia) o no, e, come dice holderlin, può egli sondar l’abisso (o surfarci sopra, penserà il verde). Se la povertà ignobile (dello spirito) è venuta (è tornata), ed è qui ora di nuovo e cruda, ecco che ancora c’è pur l’uomo, che può farla (la fa) e disfarla. Ma per disfarla, la povertà dello spirito, di quali uomini c’è bisogno? Abbiamo risposto già, chiarendo cos’è letteratura. Wozu dichter? Perchè i poeti, nel tempo della povertà.

Gianluca D’Incà Levis, 15 novembre 2015.
 


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