Mario Tomè – Mèio èse uzel de bosk ke de gaba – 19/30 giugno, Magnifica
Pregresso: Chiavi di Accesso, 2014, Zoppè di Cadore
Nella primavera del 2014, Mario Tomè ha vissuto a Piar, nel Comune di La Valle Agordina.
Qui, immerso nel bosco, ha lavorato alla ristrutturazione della scofa, il vecchio fienile di famiglia, costruito nel 1827 dal bisnonno, al nane Barelon.
Barelon è il soprannome dato in valle al casato paterno.
La scofa, inutilizzata da anni, era ormai a pezzi. Andava salvata.
Dapprima, il Mario ha demolito il vecchio volume. Poi l’ha ricostruito da zero, utilizzando il sistema costruttivo tradizionale.
Quando, sempre nel 2014, con il progetto Chiavi di Accesso, Tomè è stato invitato a pensare ad una mostra per il Museo etnografico di Zoppè, l’idea è stata, da subito, quella di portare la scofa all’interno del Pojat*, mettendo in relazione diretta questi due elementi, e i loro territori.
Durante quell’estate, a più riprese egli ha percorso a piedi i trenta chilometri che separano Piar da Zoppè.
Attraversare fisicamente questo spazio, le tre regioni (agordino, zoldano, cadorino), significa collegarle. Perchè esse, per quanto differenti, sono parte dello stesso territorio, del quale l’artista voleva quindi fornire un’immagine unitaria.
La montagna è una.
Rifare la scofa, significa abitare il territorio, conoscerne gli usi e le pratiche, i nomi dei luoghi, gli attrezzi da lavoro: e rifiutare l’estinzione di memoria e tradizione.
Dice Tomè: “Ci siamo spinti troppo oltre nella nostra corsa al progresso. Ci siamo sbarazzati del passato come se fosse un’eredità ingombrante ed inerte, mentre il passato è un lento percorso di accumulazione di saggezza e conoscenza, che oggi ci rendiamo conto di dover recuperare perché quella traiettoria inarrestabile mostra tutte le sue falle”.
L’artista ha trovato alcuni vecchi chiodi, nelle teche del Museo di Zoppè.
Altri chiodi ha trovato mentre demoliva la scofa: questi chiodi presi a Piar, sono giunti nel Museo.
Su di essi, sono state punzonate alcune frasi, che raccontano delle storie, storie degli uomini di queste terre. “Sono parole non più in uso, modi di dire perduti dei dialetti dell’Agordino, della zona di Zoldano e del Cadorino, ossia i territori che ho percorso a piedi dal fienile a Zoppè di Cadore, sede della mostra. Mi piacerebbe che il mio lavoro servisse a rimettere in circolo questo vocabolario perduto. Ho pensato ai chiodi come supporti ideali perché essi saldano, tengono assieme le cose. Ciò che vorrei accadesse tra il presente e il passato: un rinsaldarsi di un vincolo sacro e necessario tra ciò che siamo stati e ciò che siamo”.
I chiodi sono stati assemblati, insieme ai legni di Piar, a creare una struttura nuova, fatta con le cose vecchie: perchè la tradizione va rinnovata, sempre, per non essere perduta. L’Addio alle Baite di Zas Fris è uno dei testi centrali, insieme con i vocabolari dialettali dell’area, usati da Tomè in questo lavoro.
L’installazione, che è entrata in modo permanente nell’allestimento del Pojat, comprende anche una foto del nane Barolon, e di una proiezione di diapositive.
Ritorno: 2019, il site-specific alla Magnifica
Ora, Tomè riallestisce questo lavoro nelle ex prigioni della Magnifica Comunità di Cadore. E lo adatta al differente contesto, trasformandolo in modo sostanziale.
La porta originale della scofa, viene incardinata alla porta esterna delle ex prigioni.
Il complesso (amplesso) delle due porte connesse, crea una relazione, un’apertura che non è spalancamento ma pertugio, al tempo stesso varco ed ostacolo quasi: forse la traccia memore di un’evasione possibile?
Su una delle pareti rivestite di vecchie tavole della piccola sala, trova posto un’immagine: si tratta di un’autoritratto di Tomè stesso, all’età di sette anni, a Piar.
Attraverso una piccola apertura della scofa, egli guarda chi lo guarda, occhieggia (anche l’artista fa questo: sempre -se sa cercare, e porre, una relazione).
Ma anche la stampa di questa fotografia subisce una metamorfosi.
L’immagine si apre.
Le porte diventano tre, quindi quattro.
Il collage crea questo gioco, lo spalancamanto c’è eccome.
Un invito all’intrusione.
Lo stesso vale per la piccola finestra, che ci ricorda la feritoia sull’uscio interno della prigione: mettici la testa.
Tutte le aperture: aperte.
Cosa troviamo nella scofa imprigionata di Tomè?
Mèio èse uzel de bosk ke de gaba.
Gianluca D’Incà Levis
* Al pojat le an sistema che se usa tel belunese, ma anca fora, par portar la legna, mejo se de fagher, ma anca de peth e lares, in carbon. Sto sistema, le canbià an cin inte i ani, ma le sempre stat mantegnuda la so forma de montagneta co an camin in medo e altri bus te i fianchi usadi co l’intento de regolar al fià del fogo.
Il Pojat è un sistema tradizionale, usato nel bellunese, per trasformare la legna in carbone.
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Arte contemporanea in Magnifica, un progetto figlio di Chievi di Accesso.
Nel 2014, i tre artisti Nicolò Degiorgis, Michael Fliri, Mario Tomè hanno preso parte al progetto Chiavi di Accesso**, sviluppato dal Gal Alto Bellunese.
Le opere, realizzate quell’occasione, vengono ora riprese e riallestite nelle antiche prigioni del Palazzo sede della Magnifica Comunità di Cadore, a Pieve di Cadore, in due piccoli ambienti posti al pianterreno, recentemente restaurati.
Gli ambienti delle prigioni vengono aperti al pubblico per la prima volta il giorno 17 maggio 2019, in occasione dell’apertura della Settimana della Cultura Cadorina.
Orari di mostra: Mario Tomè, I Bareloi, Mèio èse uzel de bosk ke de gaba, dal 19 al 30 giugno, 10.00-12.30, 14.30-18.00 dal lunedì al sabato, e su richiesta anche la domenica previa prenotazione allo 0435 32262 o scrivendo a info@magnificacomunitadicadore.
Info: info@magnificacomunitadicadore.it – info@dolomiticontemporanee.net – gal.cooperazione@dolomites.com
Il progetto si realizza grazie alla Magnifica Comunità di Cadore, in collaborazione con Gal Alto Bellunese e Dolomiti Contemporanee, e con il contributo di Fondazione Cariverona.
**tra il 2014 e il 2015, nell’ambito Interreg IV I-A AdMuseum, con il progetto Chiavi d’Accesso il Gal Alto Bellunese, la Magnifica Comunità di Cadore con la collaborazione di Dolomiti Contemporanee, attraverso il coinvolgimento di giovani artisti e di alcuni musei del territorio cadorino e ampezzano, hanno inteso stimolare una lettura dei beni museali e del territorio al quale essi fanno riferimento per provocare curiosità, dubbi e svelare la non unicità della lettura storica e culturale dei luoghi e dell’agire umano.
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