filippo romano/dentro a vaia

Filippo Romano

dentro a Vaia
26 foto, formati vari (30×45, 50×75, 67×100, 75×100, 100×67 cm.), stampa inkjet su carta uso mano, 2019.

I luoghi e le persone ritratti:
Goccia di Carnia, Foresta di Paluzza, Harald Hofner e il piccolo Ludwig, Micromuseo della fauna dolomitica, Valle avoltruzzo, cercivento, rocca pietore, santo stefano di cadore, museo della grande guerra, sappada, forni avoltri, legname a sappada.
Stefano Piazza, marcello martini, romina manarin, chiandelin, timillin, inelda fontana, simone larese, pier antonio silviero, gabriele cigliani con il cane pippo.

Ho attraversato le montagne del Cadore e le Dolomiti friulane cercando i segni del passaggio della Tempesta Vaia. Un viaggio durato due settimane, in un territorio che sostanzialmente non conoscevo se non per averlo sfiorato con lo sguardo dalla macchina diversi anni fa.
Ho pensato ad un racconto che non fosse il semplice resoconto sul post disastro Vaia, e neanche l’illustrazione ragionata di percentuali e mappe asettiche sulle foreste decimate.
Volevo capire cosa vuol dire vivere in montagna oggi non limitandomi a raccontare la catastrofe ma usandola come lente d’ingrandimento per mettere a fuoco una comunità e il suo modo di convivere con la calamità avvenuta recentemente.
Ho cercato in primo luogo un distacco dall’immaginario mediatico dei mesi recenti, fatto spesso di immagini spettacolari realizzate con i droni. Foto zenitali di foreste schiantate, con gli alberi caduti e sparsi simili al gioco dello Shanghai, in quel paradosso in cui il paesaggio distrutto diventa un oggetto estetico quasi astratto, guardato frettolosamente da una safe zone da cui affacciarsi su luoghi e disastri.
Volevo entrare davvero dentro il territorio e per farlo non potevo non “giocare” ironicamente con gli stereotipi visivi più popolari, quelli su cui si è generato un immaginario fatto di paesaggi innevati, foreste a perdita d’occhio e casette di “marzapane”. Quelli grazie ai quali è stata costruita la fortuna delle settimane bianche a mezza pensione e degli immobiliaristi che hanno venduto condomini\baita alla borghesia dell’Italia in rapida crescita economica.
Quell’immaginario che fa pensare a molti che la montagna dopo Vaia sia semplicemente una tabula rasa.
Le immagini realizzate in questi periodo di tempo sono una partenza, per un “altro” viaggio verso indizi e storie sull’abitare nelle zone colpite dal tornado con la curiosità di capire cosa c’e’ oltre Vaia e cosa voglia dire vivere oggi sulle montagne.
Non è il censimento fotografico dei luoghi disastrati e neppure un itinerario esaustivo dei centri abitati colpiti dalla tempesta.
Ho preferito compiere la mia ricerca, tornando negli stessi luoghi, giorno dopo giorno per acquisire una maggiore dimestichezza con una geografia che mi era quasi sconosciuta e per arginare l’incanto del primo sguardo sulla bellezza naturale che se pur devastata rimane maestosa.
Un lungo viaggio in macchina, compiuto spesso “scavallando” i passi dolomitici, immaginandoli come la punta di un compasso che disegna un cerchio dentro il quale si estende la geografia di questo racconto.
Ho raccolto sia prima che durante il viaggio immagini standard, cartoline e foto rubate da internet, per trovare un immaginario fittizio che facesse da sfondo ad una memoria che non potevo avere.
Difficile raccontare un dramma generato dalla natura senza pensare ad un epicentro, ad un grado zero.
Vaia è stata una calamità che si è “sparsa” nel territorio, un cataclisma naturale dai tanti epicentri.
Ho pensato quindi di tracciare dei confini ideali tra le aree degli schianti e la presenza umana nel paesaggio.
Mi sono mosso lungo il confine tra il mondo abitato e la foresta, “paradossi” in antitesi con l’idea di incontaminato così spesso utilizzata per “vendere” la montagna ai turisti.
Tornare nei luoghi vuol dire scardinare le impressioni, senza per forza avere domande e risposte adeguate è come seguire una pista generata dell’ascolto delle infinite variabili della vita di un territorio, dei suoi microcosmi.
Ripercorrere vuol dire banalmente andare oltre l’esperienza precedente, forse è questo il vero senso dell’osservare Vaia un racconto che pone un nuovo limite oltre il quale immaginare il futuro del territorio.



opera in:
fibra flessa (schianta l’uomo non il bosco)
a cura di gianluca d’incà levis
nuovo spazio di casso

4 agosto – 29 settembre 2019

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La mostra si è realizzata all’interno del programma dei Dolomiti Days, in collaborazione con Regione Friuli Venezia Giulia, Fondazione Dolomiti Unesco, UTI Unione delle Valli e delle Dolomiti Friulane, Comune di Erto e Casso.

La ricerca di Romano è stata finora sostenuta da Dolomiti Contemporanee, Filiera Legno FVG, AIBO Associazione Imprenditori Boschivi FVG, Comune di Sappada, Proloco Sappada.

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