altri dardi – forte di monte ricco – 29.08 – 27.10 2019
altri dardi
29 agosto / 27 ottobre 2019
a cura di gianluca d’incà levis
artisti: Marco Andrighetto, Luca Chiesura, Gianni De Val, Dimitri Giannina, Alessandro Pagani, Michelangelo Penso, Massimo Tevarotto, Aleksander Velišček, Andrea Visentini, Sophie Westerlind.
qui il video dell’opening.
e poi, ancora qui, nel Forte, dopo le prime messi di criticismo vaiano (il Corso di Cultura in Ecologia a San Vito, su Vaia; To be Here and There, il primo apparato al Forte di Monte Ricco; fibra flessa, al Nuovo Spazio di Casso), criticismo della criticità vaiana, che la ragione è pura, e vengono ora alcuni altri dardi, vettori del senso, a completare l’allestimento del Forte, che è uno Spazio unico e organico e coerente a sé stesso (e noi a lui), a sviluppare altre riflessioni sui temi che trattiamo a Pieve.
Temi che, è importante capirlo, hanno a che fare con i luoghi del territorio, con gli accadimenti reali, e quindi con i pensieri puntuali, e, questo è già centrale: dato che le valenze sono universali.
Diciamo criticismo perché non ci occupiamo noi, mai ci siamo occupati, delle metafisiche d’ambiente, spontanee o automatiche, della stucchevole illuminotecnica ecologica, dell’estemporanee botaniche da diporto, e così via.
E invece dell’analisi, delle presenze e pregnanze dello spirito, incarnate nei fatti, sulla terra, attraverso le pratiche, le buone pratiche: e attraverso lo sguardo e la lente potente del contemporaneo.
Facciamo due esempi rispetto a questa centralità del puntuale, nella cura dello sguardo critico, obiettivo, proiettivo, responsabile.
Con i quali esempi ribadiamo che: se un progetto è buono, è centrale, perché, oltre ad esistere in sé, esiste anche come azione esemplificativa, come parametro, esempio, modello d’approccio, e così via.
Se il progetto (come anche il sito) è centrale (centrato), esso risulta simultaneamente localizzato (un dove) e comprensivo (il cosa: che sempre esubera la circoscrizioni degli spazi, fisici e mentali e culturali).
E perché citiamo qui altri siti?
Ci distraiamo forse da qualchecosa di particolare?
Non siamo in grado di rimaner concentrati?
Siamo volubili, ondivaghi, ci distraiamo?
O invece spingiamo, spingiamo forte quel qualcosa localizzato oltre il suo limite personale, la sua egoistica privatezza?
In effetti, lo spingiamo.
In effetti, il valore di quest’azione concertata è pubblico, diffuso, e compone una geografia, mobile e trasformativa.
In effetti, pensando in rete, non c’è più modo di (ragionare) infantilmente, per enti e oggetti altri segregati. Ma (senza più parentesi al pensiero fattivo) di un’unica soluzione interconnessa, che è una politica responsabile dell’azione sul/per il territorio, una politica nel/del paesaggio, e così via.
Primo esempio: il Vajont, nel quale siamo immersi, in coltura attiva, dal 2012: non è uno spazio fermo chiuso e PRIVATO, il Vajont, posto sopra e sotto ad una diga-sudario: non è una piccola porzione di territorio conchiuso tra Erto e Casso e Longarone: è invece uno spazio emblematico che appartiene a tutti gli uomini della terra (di terre ci occupiamo, della loro coltivazione, di alcuni slanci plausibili, delle matrici salaci, che riaccorpino il senso allo spazio), e quindi è uno spazio PUBBLICO, nel quale il particolare ha la vocazione ad elevarsi a paradigma generale: universale. Proprio come DC, che è un’azione ragionata ed insistita, condotta sul campo da alcuni, che costruiscono rapporti con tutti gli altri (le centinaia di partner che sono con noi), a favore di una gestione responsabile del Patrimonio smangiato, che costituisce appunto una risorsa pubblica. Il valore delle cose, infatti, è patrimonio, appartiene a tutti, anche quando la proprietà delle cose è di uno solo: il valore non è predabile, né confinabile, né frazionabile, né accaparrabile.
Stessa cosa dicasi, e infatti lo diciamo, per Tempesta Vaia/Cantieredivaia: questo evento che esubera di gran lunga la dimensione locale, ponendosi come un altro paradigma esemplificativo, un campo delle ricerca, un farsi (rifarsi) del paesaggio, un’occasione per intavolare, a partir dal fatto locale, in una dimensione globale: l’apertura del pensiero, che passa dall’arte, che è vettore costruttivo: è architettura, sistema, metodo: dell’attenzione.
Qui in questa mostra, su Vaia intavolano Michelangelo Penso, Gianni De Val, Dimitri Giannina, Luca Chiesura, Marco Andrighetto, Massimo Tevarotto.
Secondo esempio: Tiziano Contemporaneo, anch’esso ben presente in esposizione, con Sophie Westerlind, Aleksander Velišček, Alessandro Pagani, Andrea Visentini.
E ricordiamo cos’è questo progetto. Tiziano è Tiziano: tutto qui? Che significa? Temiamo la tautologia, il predominio degli apparati critico-descrittivi.
Noi, infatti, per critico intendiamo: il fare. Meglio: il farsi del pensiero in atto, la sua pratica.
C’è chi dice di saperlo già, chi sia Tiziano, e che se ne dice anche troppo addirittura, del venerando Maestro, le solite cose vecchie, abusate. C’è chi, all’opposto ne cura le agiografie, che non di rado divengono urne cinerarie, recessi inaccessibili, teche protettive, subspazi culturali affidati agli specialisti segregazionisti – che in tal modo allontanano da noi la possibilità di un rapporto fisico, oltreché culturale, con la matrice.
E così via, a frammentare, governare, disciplinare, sezionare, dividere: come chirurghi miopi, o specialisti inorganici, particolaristi particellizzatori, eccetera.
Ma invece: Tiziano è presente, non passato. E un enorme giacimento di stimolo e tema: o lo lasci giacere, o lo parametri e riprocessi.
Quindi Tiziano Contemporaneo è l’idea, ancora, della pulsazione del territorio. Dal territorio uscì Tiziano, cadorino. Uscì e andò, penetrando nel (il) mondo. La sua traiettoria è chiara, radiosa: la sua origine è a Pieve.
Come per il Vajont, come per to Be Here and There: come per DC.
Essere qui? Certo. Portare altri qui, e altre attenzioni. E andare sempre via da qui, a portare quel nostro qui (nostro e di tutti) anche lì, legandolo agli altrove.
Tra l’altro: i dardi scagliati somigliano a costellazioni di pietre: fai volare ‘ste crode, non tenerle inchiodate.
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Il Forte di Monte Ricco, proprietà del Comune di Pieve di Cadore, è gestito dalla Fondazione Centro Studi Tiziano e Cadore e dalla Fondazione Museo dell’Occhiale, con il contributo fondamentale di Fondazione Cariverona.
Ringraziamo tutti i partner della rete DC, e, in particolare in quest’occasione, Comune di Pieve di Cadore, DB Group, Elettromeccanica Cuprum Belluno, Cooperativa Cadore Scs, Cai Pieve di Cadore, Magnifica Regola di Nebbiù, Segheria Hofer.
Paola De Martin, Francesco Costella, Umberto Giacomelli, Federico Rosso, Enzo Valmassoi.
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