5 agosto 2024

Stadio Olimpico del Ghiaccio, Cortina d’Ampezzo, luglio 2024 – Lo Stadio Olimpico del Ghiaccio fu costruito a Cortina d’Ampezzo in occasioni delle Olimpiadi invernali del 1956. Fu progettato dall’Ingegner Mario Ghedina, insieme agli architetti Nalli e Uras, e all’Ingegner Carè per le strutture in cemento armato, e realizzato dall’Impresa Viviani di Cornuda. Stadio Olimpico del Ghiaccio, Cortina d’Ampezzo, giugno/luglio 2024 
Fino ai primi anni ’80, lo Stadio costituiva una sorta di spalto sul paesaggio, aperto sotto al cielo. Le cerimonie d’apertura e chiusura dei Giochi del ’56 si svolsero qui, insieme alle
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25 giugno 2024

Cortina d’Ampezzo si trasforma. Come l’intera Valle del Boite, dove, mentre si avvicina l’Olimpiade invernale Milano Cortina 2026, accelerano finalmente i cantieri sulle varianti della ss 51 di alemagna. Il Paesaggio della montagna dolomitica bellunese si modifica, con i lavori sull’infrastruttura viaria, sugni snodi viari in prossimità o nel cuore dei centri abitati (valle di cadore), con la risoluzione di alcuni storici nodi problematici e strettoie, affidati a tunnel e bypass.   In questo momento (primavera 2024), le gru si moltiplicano. Le gru a torre sono gli alberi meccanici dell’olimpiade.Si restaurano gli alberghi.Il territorio
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20 maggio 2024

Penetrazione territorio. Il Ponte Cadore, visto dalla Cavalera. Il viadotto si trova tra Perarolo e Pieve di Cadore, sotto scorre la Piave, che va alla confluenza con il Boite.Si procede ora (primavera 2024) all’adeguamento statico sismico delle strutture, il cantiere Anas durerà ancora almeno diciotto mesi, forse di più. Nel 2025, saranno quarant’anni dalla realizzazione di quest’opera. Foto Teresa De Toni. – Il Paesaggio si costituisce grazie all’interazione tra il contesto ambientale e il lavoro (le opere) realizzato dell’uomo.Quando l’uomo realizza infrastrutture o grandi architetture, ciò ha un impatto sulla definizione e
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1 maggio 2024

Il Ponte Cadore si trova tra Perarolo e Pieve di Cadore, sotto di lui scorre la Piave, che va alla confluenza con il Boite.Si procede all’adeguamento statico sismico delle strutture, il cantiere Anas durerà ancora almeno diciotto mesi, forse di più. Nel 2025, saranno quarant’anni dalla realizzazione di quest’opera. Ponte CadoreI lavori attuali (2024) Foto: Teresa De Toni, febbraio 2024. – diagonale sinistra tracciato segno paesaggioun’altra esile via di scorrimento, qui a rotaia, binario morto su tratta dismessa sopra sacco di sopra, la linea nel bosco. poco più sotto, altra intersezione in ambiente, ecco i cidoli di sacco e
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Milano Cortina 2026, SS51 di Alemagna. Il tunnel bypass di Valle di Cadore  Da alcuni mesi le “opere complementari” per le Olimpiadi Milano-Cortina 2026 sulla Statale SS 51 di Alemagna sono finalmente partite, e DC continua, attraverso diversi progetti e analisi, a seguirne la realizzazione. L’investimento supera i 250 milioni di euro. Tra i cantieri di Anas in Valle del Boite, vi sono quello di Tai di Cadore, quello di Valle e quello di San Vito. (dicembre 2023) Opere complementari connesse a Milano Cortina 2026. SS 51 di Alemagna. Il tunnel bypass di Valle di Cadore. Cantiere di Valle
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22 aprile 2024

  Cronache d’attualità.Sarà pur chiaro come quella di paesaggio non sia una definizione inchiodata, perchè il paesaggio non è un’ente che cerchi una rappresentazione univoca, ma una permanente trasformazione d’ambito?
Nessun paesaggio è dunque bloccato, né bloccabile, in una forma definita, impermeabile al cambiamento che gli corrisponde – a meno che non ne stiamo considerando una singola configurazione definita, cosa che facciamo volentieri quando ad esempio approfondiamo la storia delle sue declinazioni ad opera dell’uomo. 
Questo però può essere fatto mai nel senso più generale (al di fuori quindi dei casi progettati),
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18 agosto 2023

Tu lo sai cosa sono gli Scarpét?Qui ci abbiamo fatto un workshop a Casso, a dicembre 2022, e da lì abbiamo avviato la ricerca applicata, trovi altri link utili in quel post. Gli Scarpét, o Skarpét, in bellunese, o le furlane, in Friuli. Ste scarpe o “… pantofole rustiche artigianali, tipiche e abituali calzature montanare d’un tempo, costituite da una suola di pezza fittamente trapunta (strapônta) con filo di canapo incerato e da una tomaia scollata, in panno o velluto nero, orlata o foderata, molto resistente … (Enzo Croatto, Vocabolario del dialetto ladino-veneto della Val di Zoldo, Belluno)”. Dolomiti
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17 luglio 2023

Il Cadore tra ’800 e ’900. Perarolo nelle fotografi e di Luigi BurreiIl volume è stato pubblicato a luglio 2023 da Grafiche Antiga A cura di: Elena MaierottiCollana: FotografiaImmagini: a coloriFormato: 23 x 27,5 cm Acquista qui il volume  – Luigi Burrei (1859-1927), originario di Nebbiù di Pieve diCadore (Belluno), visse la maggior parte della sua vita aPerarolo. Fu un commerciante di legname per conto delladitta dello zio, Andrea Burrei, e, nel contempo, anche unappassionato fotografo amatoriale. Di questa sua attivitàdilettantistica, quasi interamente inedita, è rimasta traccia inun corpus fotografi co di proprietà dei suoi eredi. Tale archivioconsta
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22 giugno 2023

  Dolomiti Contemporanee è nel volume THE LAST GRAND TOUR – Contemporary phenomena and strategies of living in Italy, curato da MICHAEL OBRIST (feld72) & ANTONIETTA PUTZU, e pubblicato a giugno 2023 da Park Books.[...] Per gran parte del XVI secolo fino all’inizio del XIX, il Grand Tour in Italia è stato una parte importante della formazione degli aristocratici europei. Seguendo questa tradizione, questo libro analizza da vicino l’Italia di oggi, concentrandosi sul tema dell’abitazione come indicatore delle interrelazioni politiche e socioeconomiche [...] Il contributo di DC è un saggio dal titolo: Il riuso del Patrimonio storico
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23 maggio 2023

  le fogge delle rocce nella storia dell’arte – studio comparativo per musei con l’iphone. esclusivamente i DETTAGLI, spesso -non sempre, spesso- in cornice fondale, di pietre e montagne, portati a macro, estratti-isolati (scavàti), prim’abbozzo di un progetto di estetica iconografica geologica montana, rassegna di pittogeologia alpina, abaco delle crode oleate, etc. Pietro del Donzello (?), 1487, La partenza degli Argonauti. (architetture del vello). – Bramantino, L’adorazione dei Magi, 1500, National Gallery.e ancora nel ‘500 (quando mai oggi più), l’artista gli era l’architetto della natura pure sapiente (delle nature pure), da cui
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DC e gli Scarpét

Tu lo sai cosa sono gli Scarpét?

Qui ci abbiamo fatto un workshop a Casso, a dicembre 2022, e da lì abbiamo avviato la ricerca applicata, trovi altri link utili in quel post.

Gli Scarpét, o Skarpét, in bellunese, o le furlane, in Friuli. Ste scarpe o “… pantofole rustiche artigianali, tipiche e abituali calzature montanare d’un tempo, costituite da una suola di pezza fittamente trapunta (strapônta) con filo di canapo incerato e da una tomaia scollata, in panno o velluto nero, orlata o foderata, molto resistente … (Enzo Croatto, Vocabolario del dialetto ladino-veneto della Val di Zoldo, Belluno)”.

Dolomiti Contemporanee, con la sua abituale tenerezza culturale, propone un altro saggio di attenzione alla cultura del territorio, e di intereazione con essa.

Abbiamo iniziato a dicembre del ’22 nel Nuovo Spazio di Casso con un workshop che portava donne da diverse valli dolomitiche a incontrare artisti da tutto il mondo. Queste donne esperte che salvano il mestiere antico che si sperde, e che però non son fertme, ed infatti hanno accettato subito l’idea della “necessità della distruzione della tradizione (nell’assetto pago replicativo) attraverso la rivoluzione affidata alla trasformazione, ovvero non andare a rifarla sempre eguale, la cosa, scarpa o altro che sia, che non basta, la si ha da far corretta e diversa invece. Prima inventi una cosa (salto culturale), poi la difendi (il mestiere tenuto), poi la rinnovi (un salto non basta, non sedertici, fanne altri). Ricordi cosa diceva Nietzsche di Goethe e Leopardi? Incameravano il passato, certo, questi ultimi poeti-filologi.
Ma, anche semplicemente nel riprenderlo, quel passato (Eraclito o lo Scarpét qui è uguale), lo ricreavano. Ma di questo parleremo meglio presto altrove.


Maria Teresa Agnoli
, che va per gli ’80 e si è dimostrata un’ottima capocordata (volenterosa e aggregativa), sa come si fanno a mano. Ci vogliono dita d’acciaio, climber da strapazzo. Ha un laboratorio produttivo e formativo a Perarolo di Cadore.
Ci aspetta lì. Cosa aspettiamo? 
Ha capito subito, assieme alle colleghe, il senso della nostra azione, il modello propulsivo e non descrittivo delle cose belle ed efficaci che van prese e smembrate (la critica, il lavoro dell’artista) e rimontate; ha capito subito ad esempio le meraviglie di Anna Poletti, le coperte di Pblab e lo Scarpet da arrampicata, ed è qui che è fiorito il dialogo tra i diversi, che è già come un forte patto affermativo, un’intesa profonda, un fiore esplosivo (e aspetta di vederli, i nuovi fiori incendiari sugli scarpét riletti dagli artisti: botanica fantastica rinnovativa).
La tradizione infatti non è importante se viene semplicemente (acriticamente) trasmessa e salvata, ma se viene esposta ad altri contagi e trasformata. Nutrila. Attenzione ai fanatici della conservazione.


Come lo si fa/ceva:

Fare gli scarpet era un tempo un’attività di trasformazione dello scarto. L’unione di vecchie stoffe permetteva la realizzazione di suole solide e resistenti, in grado di durare nel tempo. A questa stratificazione di scampoli veniva poi aggiunta la tomaia che, spesso, era di un materiale più pregiato (velluto o tela). L’accoppiamento permetteva la facile sostituzione del materiale più fragile (pregiato ma fragile) potendo così mantenere la stessa suola. Tirar i Scarpet. Eh, duravano. 
Mai indossarle su terreni bagnati, di preferiva star scalzi piuttosto che rovinare quelle suole costate molte ore di lavoro. Poi, la gomma (che era sempre uno scarto) consentì di affrontare qualche umidità.
Cuciture, forme e ricami cambiavano di valle in valle e di paese in paese. 
Ogni paese quassù porta, da secoli, un fiore distintivo a decorare lo Scarpèt?
Ne faremo degli altri, ecco che vengono i fiori DC.

Qui un minimo di bibliografia

 Le foto quissopra sono di Giacomo De Donà e Teresa De Toni

Settembre 2023, un altro passaggio della ricerca:


Gli Scarpét (in Veneto: in Friuli Venezia Giulia si chiamano le Furlane, storicamente gli Scufons) sono stati lanciati, come tema culturale legato all’interpretazione e rigenerazione di questa tradizione manufatturiera artigianale, così caratterizzante, così interessante, così trasformabile (DC è un soggetto attivatore trasformativo), a dicembre 2022, con il primo workshop.

Interpretabile vuol sempre dire trasformabile. Si trasforma un oggetto di cui si voglia conservare l’essenza, al tempo stesso rinnovandola, cosicchè la tradizione non diventi una determinazione immota, ovvero un sacello conservativo, ma uno stimolatore, ovvero un suggerimento alla rinnovazione del tipo, e della sua estetica.

Lo Scarpèt possiede un grande potenziale di riprocessazione: estetica, ma anche funzionale, poi ad un certo punto vedrai come.


Diciamo che la trasformazione è una lettura, e quindi è una forma di traduzione. Ogni rilettura di un testo (un oggetto è un testo, se lo studi) è una sorta di traduzione vivificante del testo originale.


Abbiamo iniziato a conoscere le custodi di questo lavoro: in ogni paese del Cadore, c’è una maestra, che conosce e diffonde il mestiere, insegnando la tecnica realizzativa degli Scarpét a chi se ne interessa: molti se ne interessano.

Il martedì, a Forno di Zoldo, presso l’ex Scuola elementare Panciera Besarel, si riunisce il gruppo guidato da Loredana Lazzarin, con l’Associazione Made in Zoldo, e si portano avanti gli Scarpèt.

L’abbiamo visitato, insieme a Beatrice Pra Floriani, che ci ha condotti in visita al laboratorio.

Qui di seguito, riportiamo anche un testo.

E’ stato scritto da Gigi Pra Floriani, nonno di Beatrice, nel 2006, ed è comparso allora sull’Alpino zoldano.



Fà scarpet in Zoldo

Fà scarpet in Zoldo nel secolo scorso era una necessità, un’usanza, un rito.
 Li facevano le donne, era un’arte che si tramandava da madre in figlia e si svolgeva in tempi programmati, era proprio un avvenimento dei lunghi mesi invernali.
 Mentre per la confezione, l’imbastitura e soprattutto la trapuntatura “straponze le solete” ogni spazio di tempo libero era buono. 
Ad esempio, quando le donne andavano ad accompagnare le mucche al pascolo, sedute sull’erba con in mano la pallina di cera d’api, il gomitolo di filo di tela, ed una piccola pinzetta (quest’ultima rudimentale, fabbricata nelle Fusinele di Zoldo), lucide per l’uso le pinzette, servivano per estrarre la gusela dalla soleta.
 Per ore e ore fabbricavano i “sciop de fil” doppio lunghi circa 60 centimetri. Questi, ben ritorti, fattoli rotolare fra i palmi delle mani e poi incerati scorrendoli sula palina di cera, quindi per ultimo facevano, i nodi all’estremità usando una sola mano con destrezza.
 La materia prima per le “solete” consisteva nell’ultima fase di riciclaggio di vecchi panni.
 Ad esempio la giacca del vestito nuziale, che per vari anni veniva indossata i giorni di festa e per altrettanti nei giorni feriali, poi, quando oramai lisa si usava per il lavoro. 
La cosidetta tomaia, veniva fata con veluto nero socelto e foderata allintemo con tessuto di tela ed orlata con spighetta nera.
 La parte posteriore sul tallone veniva rinforzata con più strati di tela perchề non si deformasse.
 Per i più giovani che consumavano vari paia di Scarpet all’anno, si fabbricavano con materiale meno costoso come “frustagno” liscio o rigato e rinforzato con un puntale sulla parte anteriore.
 Per i piccolissimi la tomaia aveva le “regele” che facevano il giro alla caviglia abbotonandosi alla sola sul col del pè per non perderli.
 I più esigenti, Tornavano con fiori sul puntale fatto da ricamatrici provette, fiori da sembrare veri. Il ricamo prediletto era la stella alpina, e i non ti scordar di me.
 Nella frazione di Pra di Zoldo, non si sono mai posti il problema di fare due forme (destra e sinistra).
 I Scarpet, si facevano con un’ unica forma dritta lasciando che fosse il piede mediante l’uso a dare la forma anatomica. 
L’ attaccatura della tomaia alla soletta veniva eseguita introducendo la forma di legno e cucendo a mano la “zentina”, già attaccata alla tomaia.
 Dopodichè, con forbici o coltello da calzolaio si regolava la sporgenza della “soleta” e si rifiniva con la “radisela”, prima di levare la forma con la mazzetta di legno, si batteva tutt’attorno per ovviare alle piccole irregolarità di sporgenza. 
I Scarpet per il materiale con cui sono costruiti sono una calzatura da tempo asciutto, suo peggior nemico è sempre stata la rugiada.


Gigi Pra Floriani, Pra di Zoldo, 19 settembre 2006


Una curiosità: Egidio e Florio Lazzaris si ricordano di “Scussel Giòbatta dei Locanda’ sposatosi con Maria Calchera, questi, nei primi del 1900 si trasferirono a Belluno per aprire un Scarpetteria che con gli anni si trasformò nel mobilificio “Scremin”.