la fine del confine/the end of the border – vajont/tofana di rozes – 5/6.03 2013

La Fine del Confine/The End of The Border: the Start
Stefano Cagol in dc

la-fine-del-confine_flyer
5 marzo 2013
, ore 18.30 (dalle ore 17.00)
Diga del Vajont
Nuovo Spazio espositivo di Casso (Erto e Casso, Pn)

 

 

la-fine-del-confine_vajont-e-tofana


6 marzo 2013
, ore 18.31 (dalle ore 17.30)

Tofana di Rozes – Cortina d’Ampezzo


 

 

Martedì 5 marzo 2013, presso il Nuovo Spazio espositivo di Casso, Dolomiti Contemporanee  ha presentato La Fine del Confine(della Mente)/The End of The Border(of the Mind), un progetto di Stefano Cagol. Un potente fascio luminoso, lungo 15 chilometri, è stato proiettato sopra la Diga del Vajont. 
L’arte ha prodotto una nuova immagine in/di/per questi luoghi, ancora tanto segnati dalla tragedia che li colpì mezzo secolo fa (1963), illuminando il cemento, nel crepuscolo. L’arte consente di s-confinare lo sguardo (e la mente), attraverso un ponte di luce, al tempo stesso reale e metaforico. L’arte si oppone ad una concezione statica degli orizzonti. La luce, muovendo, connette e supera. Sfiora i luoghi, e vi transita, in brillanza. Il giorno successivo, mercoledì 6 marzo, un secondo raggio è stato proiettato a Cortina d’Ampezzo. Esso ha colpito la Parete Sud della Tofana di Rozes, uno dei bastioni dolomitici più impressionanti e rappresentativi, Patrimonio dell’Umanità, da una distanza di alcuni chilometri. Con questi primi due raggi si è inaugurato il lungo viaggio che, attraversando l’Europa, ha condotto l’artista alla Triennale di Barents, Kirkenes, Circolo Polare Artico, 5.000 chilometri più a nord. Altri raggi proiettati, per la via, a travalicare altri confini.

 

qui il video della performance nelle sue prime tappe dolomitiche
qui la photogallery
qui il servizio andato in onda sul TGR
qui un articolo comparso su L’Unità

 

The end of the border – concept
La grande Diga del Vajont è un muto monumento grigio, che da mezzo secolo rappresenta la Tragedia. Diga è sbarramento invalicabile, chiusura. Gli eventi terribili, essi stessi, erigono dighe, paratie: muro e rifiuto, a protezione. Procedere oltre questo luogo, questa storia, questi segni, è difficile. Migliaia di persone vengono qui, ogni anno, in queste terre alte, a vedere. Vedere il simbolo dell’evento incommensurabile. Tutti guardano giù. Pochi provano ad immaginare un segno nuovo, sopra alla diga. E la diga rimane, ancora e sempre si erge, greve, e ogni cosa è sotto alla diga. L’opera di Stefano Cagol è estremamente semplice, diretta. La fisica stessa della performance è semplice e diretta, allo stesso modo del suo rimando metaforico. Una linea di luce sopra alla diga, chiara, leggera, potente, scardina la logica di quell’eterno immobile coronamento. La linea è tersa, e tesa, come una corda, veloce e mobile, come un quanto d’idea, onda concentrata. Quell’immagine pulsante è un vettore, porta via lo sguardo, verso l’alto, il cielo, verso e oltre le vallate strette. Nessuno può fuggire la memoria. E nessun uomo può accettare una morte perenne. L’uomo vive. La luce deve venire. La luce illumina il confine, e lo supera. E’ uno slancio vitale, lo sguardo dell’uomo oltre la diga, oltre la cima, che espande lo spazio. L’attivazione è, sempre, uno sconfinamento. Il raggio è un sistema di puntamento. Il fascio, un elemento connettore (fisico, poetico, mentale): concentrandosi su un elemento, ne evidenzia, ne estrae, lo spirito raddensato. La scia di luce consente di focalizzare l’oggetto, che viene (torna) così ad essere il cuore di sè stesso. Gli oggetti si ostinano ad esistere, forse, a prescindere dallo sguardo di chi li osserva. Sicuramente, essi esistono di più, e si accendono, nel momento in cui si decide di applicarvi una lente, puntandoli, con-centrando su di essi un’attenzione nevralgica (decisiva). Nevralgica, perchè certi sguardi invece vagano dimentichi, trascurati. E con ciò, questi sguardi riescono a disgregare persino la solidità della roccia, disperdendone la materia e il senso (che è materia) in un’evanescenza scura, opaca. La luce è attenzione, concentrata, e volontà: non volontà di contemplazione, ma di azione: focalizzare è l’azione di fare il fuoco.

 

La grande Diga del Vajont è un muto monumento grigio, che da mezzo secolo rappresenta la Tragedia. Diga è sbarramento invalicabile, chiusura. Gli eventi terribili, essi stessi, erigono dighe, paratie: muro e rifiuto, a protezione. Procedere oltre questo luogo, questa storia, questi segni, è difficile. Migliaia di persone vengono qui, ogni anno, in queste terre alte, a vedere. Vedere il simbolo dell’evento incommensurabile. Tutti guardano giù. Pochi provano ad immaginare un segno nuovo, sopra alla diga. E la diga rimane, ancora e sempre si erge, greve, e ogni cosa è sotto alla diga. L’opera di Stefano Cagol è estremamente semplice, efficace. La fisica della performance è semplice e diretta, allo stesso modo del suo rimando metaforico. Una linea di luce sopra alla diga, chiara, leggera, potente, scardina la logica di quell’eterno immobile coronamento. La linea è tersa, e tesa, come una corda, veloce e mobile, come un quanto d’idea, onda concentrata. Quell’immagine pulsante è un vettore, porta via lo sguardo, verso l’alto, il cielo, verso e oltre le vallate strette. Nessuno può fuggire la memoria. E nessun uomo può accettare una morte perenne. L’uomo vive. La luce deve venire. La luce illumina il confine, e lo supera. E’ uno slancio vitale, lo sguardo dell’uomo oltre la diga, oltre la cima, che espande lo spazio. L’attivazione è, sempre, uno sconfinamento. La luce è un elemento puro, reale, poetico e franco. La luce crea un ponte, che toglie l’oscurità dal fondo del bacino della diga, e porta un messaggio chiaro, proiettivo. La luce proietta fuori sè stessa, illuminare è sollevare. 50 anni fa, questi luoghi furono atrocemente colpiti, quasi cancellati. La memoria è rimasta. Non si vuole, portando questa luce, insegnare a qualcuno come trattare il fatto intimo, privato, della propria Memoria, che è Sacra. Si vuole dire cosa possono e debbono fare la cultura, e l’arte, in un contesto tanto sensibile, e delicato, e su cosa possa significare il concetto (e l’agire), di una  “Cultura attiva per la Memoria”. La diga stessa, appare come una sorta di grande pietra tombale, una lapide. La luce viene  ora a illuminarne la sommità. Il ponte che si crea consente di riconsiderare quello che c’è stato, chi c’è stato e non c’è più, chi è rimasto, fornendo un’immagine nuova, che è leggera, perchè sa andare, ed è forte, perchè è qui che essa ha deciso di venire, di originarsi. Un filamento di energia, silenzioso e forte, parte da questo luogo, da cui è così difficile far ripartire azioni vitali. Potremmo dire delll’artista che esso sia, in generale, una sorta di messaggero, portatore di di luce. L’artista (vero) non è un uomo che impegna la mano per realizzare dei decori (o per realizzare retorici pleonasmi fotografici della Diga). E’ un uomo che vuole, per impellenza, riflettere sulle cose, sugli altri uomini, sugli stati (e moti) delle cose e che sa costruire dei ponti, ideali, e, attraverso l’opera, reali. Il lungo raggio potente di luce, è un’immagine, ed è un fascio reale di energie, che proietta un’idea di vita, rischiarando un luogo in cui la morte ha portato una lunga notte. E’ un’azione sulla terra, sull’aria, sulla storia di questi luoghi. La luce entra nella terra, nella carne della terra, nel sangue della terra. La luce è la terra. La luce è, insieme, la terra e il pensiero, in un certo qual modo, una preghiera, un ricordo che vibra: illumina ciò che c’è, e la Memoria, dietro: e crea un ponte, avanti, verso un futuro che è necessario riuscire ancora ad immaginare. L’artista, in generale, non è un essere presuntuoso, non si crede un celeste guaritore. L’artista è un essere sensibile e attento, che reagisce poieticamente agli stimoli. Più gli stimoli sono forti, più è forte il segno che egli produce in risposta a questi. Negli ultimi mesi, attraverso i numerosi progetti attivati, Dolomiti Contemporanee ha portato un centinaio di artisti nelle Dolomiti. Ricordiamo che Dolomiti Contemporanee è un progetto che si è distinto per questa precisa modalità operativa: riaprire luoghi abbandonati, dimenticati (Sass MussTaibon). Portare, attraverso l’arte, che è luce intelligente e riflessione responsabile, nuova forza in contesti difficili, critici, delicati. E’ proprio per questo motivo, per questa attitudine a “riaprire”, a voler portare la vita in luoghi difficili, critici, delicati, che ci è stato affidato lo Spazio di Casso. Tutti gli artisti che abbiamo portato nelle Dolomiti, negli scorsi mesi, sono stati invitati anche a Casso, a visitare il Nuovo Spazio, ma anche la Valcellina, I luoghi del Vajont. E’ tutto il territorio circostante ad interessarci, con tutte le sue fonti di stimolo: la cultura di questi luoghi, le bellezze delle Dolomiti Unesco e del Parco Naturale Dolomiti Friulane (come anche delle Dolomiti bellunesi, ovviamente), e, anche, la frana del Monte Toc, la Diga e la Memoria del Vajont. Gli stessi artisti, questi intelletti sensibili, quando arrivano a Casso, vengono suggestionati, colpiti, soprattutto dalla terribile storia del Vajont. Essi vogliono riflettervi: ossia vogliono costruire un ragionamento, un ragionamento visivo e poetico, dato che sono artisti visivi, ovvero poeti per immagini. Vogliono pensare la loro idea, e donarla a questo luogo. L’arte contemporanea è uno dei sistemi, critici e creativi, che ha l’uomo incentivato (intellettualmente incentivato; non fermo, non pigro, di esprimere il proprio pensiero su un tema, su un fatto. Questo pensiero, anche rispetto ad un tema delicato come quello della Memoria, non può, non vuole mai essere passivo. Le immagini, essendo immediate, sono forti. I contenuti veicolati dalle immagini, anche quelli legati alla Memoria, sono dunque immediatamente attivi. Una Memoria attiva, poduttiva, propulsiva: ecco a cosa corrisponde l’azione di un artista in questo luogo. Se la Memoria sa essere costruttiva, essa può allevare la speranza, credere ad un futuro possibile. La Memoria che non paralizza, insegna, e cammina. Chi non c’è più, va celebrato nella vita, con la vita, non con un’eterna tumulazione. A chi non c’è più, bisogna dedicare la vita, i pensieri, le azioni, le immagini vitali, che sono ponti. Il pensiero contemporaneo è un pensiero che rifugge l’inerzia. L’uomo è tale in quanto essere ostinatamente capace di vita, anche in questi luoghi, che furon lacerati, dove l’artista vuole lasciare un segno diverso, forte, denso, chiaro, luminoso, che tutti possano vedere, sentire. Dove egli vuole essere, perchè qui è necessario venire ed essere e trasformare. L’arte contemporanea è volontà espressiva e trasformativa: l’artista vuole parlare della vita. Della realtà. Quindi, per lui, questo è un luogo in cui ha senso lavorare. Non sempre, lavorare in un Museo è altrettanto sensato. In un Museo, talvolta, si conserva, invece di rinnovare. Qui si possono dire della cose forti e reali. Qui, l’arte non può essere decorativa: vuole essere un’azione sensata dell’uomo tra gli uomini. L’arte contemporanea ha anche il vantaggio, rispetto ad altre forme espressive, di essere, appunto, visiva, ed in ciò diretta, immediata. Inoltre, essa produce idee nuove, e, in ciò, non retoriche. Effettivamente, l’arte contemporanea ci interessa forse soprattutto per questo elemento, rinnovativo, istintivo, e responsabile. ll raggio di luce di Cagol non è un contenuto mediato. E’ im-mediato. E’ quel raggio istantaneo che abbiamo detto, che in un attimo consente di sollevare la testa, e di lanciare lo sguardo oltre, verso altro, verso un futuro, mai immemore. Perchè la luce circonfonde ciò che c’è. La luce, prima di indicare un’altra direzione, la direzione della vita, bagna di sè stessa ciò che c’è, spandendo la sua aura in queste valli, e illuminando queste per prime. La luce è vita. Lo sguardo dell’arte contemporanea è forte. L’attenzione creativa è, sempre, morale.
Gianluca D’Incà Levis, Casso, 5 febbraio 2013

Enti sostenitori: Fondazione Dolomiti Unesco, Regione del Veneto, Provincia di Pordenone, Comune Di Erto e Casso, Comune di Claut, Comune di Cimolais, Comune di Vajont, Comune di Castellavazzo, Comune di Longarone, Fondazione Vajont, Comune di Cortina d’Ampezzo, Parco Naturale Dolomiti Friulane, Parco Naturale Dolomiti d’Ampezzo, Regole d’Ampezzo, Turismo FVG, Cortina Dolomiti. Partner culturali:  Museo Mario Rimoldi di Cortina d’Ampezzo. Sponsor: Salewa, Gruppo Sina spa, CMI Sedico, Cuprum.

more info:  www.endofborder.com - www.stefanocagol.com

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